Era stanco. Camminava senza guardare esattamente dove metteva i piedi. Come tutte le sere, dopo l'ufficio, quella camminata avrebbe dovuto aiutarlo a scaricare tutte le tensioni accumulate durante la giornata e invece, come tutte le sere, si ritrovava a maledire se stesso per non aver preso la macchina. Il suo sguardo vagava tra un cartellone pubblicitario e l'altro, senza capire esattamente quello che c'era scritto: forse era proprio quello che volevano i "creativi", si diceva spesso. Improvvisamente il suo sguardo fu dirottato verso un palazzo, apparentemente senza attrattive particolari, uguale agli altri che lo circondavano, in quel quartiere popolare di tante case tutte dello stesso colore e con i cancelli arrugginiti. Non capiva perché fosse attratto da quell'edificio però sentiva un desiderio irrefrenabile di visitarne l'interno. Si chiese se per caso non facesse parte di qualche suo ricordo ormai sepolto sotto la polvere degli anni ma non gli venne in mente nulla. Decise di entrare. Mentre stava per varcare il portone vide una finestra aperta al piano rialzato. Guardò all'interno e gli si presentò una stanza in disordine, polverosa, con parecchi oggetti sparsi sul pavimento. Vide, appoggiato ad un divano, un quadro antico con ritratto un volto familiare. "Ma quello è il nonno" - esclamò Max perplesso. Provò a guardare nuovamente la facciata del palazzo ma non gli ricordava assolutamente nulla. Cosa ci faceva il ritratto di suo nonno in quell'appartamento, proprio non riusciva a capirlo. Entrò e salì gli scalini che portavano al piano rialzato. Sul pianerottolo si fermò davanti alla porta dell'appartamento e suonò il campanello, deciso di scoprire cosa ci facesse lì quel quadro. Non rispose nessuno. Provò ad entrare ma la porta era chiusa a chiave. Mentre stava per andarsene vide un oggetto luccicare nel portaombrelli accanto alla porta; guardò meglio e notò un mazzo di chiavi. Ecco come entrare. Prese le chiavi e provò ad aprire la porta. Ci fu lo scatto, la chiave era quella giusta. Aprì la porta e gli apparve la stanza che aveva scorto dalla finestra: in totale disordine con mobili, quadri, lampade, sedie ed altri oggetti ammucchiati per terra, alla rinfusa. Cercò il quadro ma non riuscì a trovarlo: vide solo un dipinto che poteva vagamente ricordare un volto familiare ma, indubbiamente, non era il ritratto di suo nonno. La stanchezza l'aveva certamente ingannato. Dalla strada la distanza aveva dato l'illusione che si trattasse davvero del volto di suo nonno ma si era decisamente sbagliato. A quel punto si sentiva un intruso, penetrato in un appartamento, che poteva essere scambiato per un ladro e cominciò a preoccuparsi. Uscì velocemente dalla stanza, chiuse a chiave e rimise le chiavi nel portaombrelli, dove le aveva trovate. Sospirò, ormai libero dalla tensione per la paura di essere sorpreso. Ritornò sulla strada che l'avrebbe ricondotto a casa ma, improvvisamente, si rese conto di non avere più la valigetta con i documenti dell'ufficio. L'appartamento: sicuramente l'aveva appoggiata nell'appartamento, maledizione. Doveva tornare indietro e aprire di nuovo quella porta, tornare ad essere un intruso, con la possibilità che lo sorprendessero là dentro. Cominciò a sudare, preoccupato, ma tornò sui suoi passi, entrò nuovamente dal portone, salì gli scalini e giunse sul pianerottolo. Prese le chiavi dal portaombrelli e fece scattare la serratura. Aprì la porta e vide subito la valigetta accanto al divano. La prese ed uscì velocemente. Chiuse a chiave, rimise il mazzo nel portaombrelli ed uscì di corsa dal portone. Giunto sulla strada controllò di non aver combinato qualche altro pasticcio. C'era tutto. Trasse un sospiro di sollievo e s'incamminò verso casa. Giunse finalmente davanti al portone, estrasse le chiavi ma non riuscì ad inserirle nella serratura. Le guardò e riconobbe le chiavi di quell'appartamento. Probabilmente si era confuso e aveva messo in tasca quelle chiavi poi aveva preso le sue, sempre dalla tasca e le aveva messe nel portaombrelli. Non era proprio la sua giornata. Quell'appartamento lo stava perseguitando. Tornò indetro, velocemente. Entrò dal portone, salì gli scalini e guardò immediatamente nel portaombrelli: le sue chiavi erano proprio lì. Le prese e le sostituì con le altre. Fece per andarsene quando udì delle voci all'interno dell'appartamento. Incuriosito accostò l'orecchio alla porta ed origliò. Dall'interno due persone stavano discutendo animatamente e da ciò che dicevano Max capì che stavano aspettando qualcuno che doveva giungere a momenti. Decise a quel punto di andarsene, di averne decisamente abbastanza di quel posto. Mentre stava per scendere gli scalini due persone, un uomo ed una donna, sulla sessantina, stavano entrando dal portone. "Buon giorno." "Buon giorno." - rispose Max dirigendosi verso il portone. "Dove va?" "Prego?" - Max li guardò perplesso. "Sì, erano anni che la stavamo aspettando e adesso che finalmente è qui, se ne va?" Max deglutì a fatica e in quel momento si aprì la porta dell'appartamento: all'interno non c'era nessuno, anche se pochi istanti prima Max aveva udito distintamente due persone che stavano parlando. "Prego, prima lei." - disse la signora rivolta verso Max. "No, grazie, devo proprio andare." - le rispose. "Ma sta scherzando? Questa è casa sua.". Max fece finta di non aver udito e corse fuori dal portone. Sempre di corsa arrivò fino a casa. Estrasse le chiavi ed aprì la porta. Entrò, si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò al muro, riprendendo fiato. "Merda!" - esclamò all'improvviso. Aveva perso la valigetta. Si ricordò di averla appoggiata a terra sul pianerottolo e sicuramente si era dimenticato di riprenderla. Non aveva intenzione di tornare in quella gabbia di matti ma non poteva nemmeno abbandonare la valigetta con i documenti. Tornò in strada e in pochi minuti si ritrovò davanti a quel portone. Guardò verso l'interno e non vide nessuno. Entrò silenziosamente e vide che il pianerottolo era spoglio: della sua valigetta nemmeno l'ombra. Sentì ancora delle voci all'interno dell'appartamento. "Tornerà, tornerà, ne sono certo." - sicuramente stavano parlando di lui. Ma cosa volevano? "L'ho sempre detto che era testardo ma qualcuno non voleva darmi retta, vero?". Era tentato di bussare ma non trovava il coraggio. Chissà cosa stavano architettando quelle persone. Poteva anche essere pericoloso. Forse doveva andare alla Polizia. Cominciò ad avere paura: perché avrebbero dovuto avercela proprio con lui? Giunse un rumore dal portone d'ingresso e Max, ormai terrorizzato, si appiattì contro la parete per evitare di essere visto. Un signore stava salendo gli scalini per raggiungere il piano rialzato. Max decise di salire qualche gradino della scala che portava al primo piano, per nascondersi meglio. Il signore si fermò davanti alla porta dell'appartamento ed appoggiò il cappello al portaombrelli. Si accostò alla porta e cominciò ad origliare. Dopo qualche secondo trasalì e corse velocemente verso l'uscita, dimenticando il cappello sul portaombrelli. Max gridò: "Signore, il cappello! Avete dimenticato il cappello.". "Non può sentirla." - disse una voce alle sue spalle. "Chi diavolo è lei?" - Max cercò di riprendere fiato e fulminò con lo sguardo la persona che gli aveva rivolto la parola prendendolo di spalle e spaventandolo a morte. "Mi dispiace di averla spaventata," - disse il signore, indicando la parte superiore della scala, la cui fine non riusciva a scorgere - "volevo solo darle il benvenuto tra noi.". "Senta, mi lasci perdere perché non è la giornata giusta." - Max era furibondo. "No, non si arrabbi; noi siamo come lei, condannati a restare su questa scala, per sempre." - disse sconsolato il vecchio - "Anche noi abbiamo cercato di dirle che stava dimenticando la valigetta, le chiavi, ma lei non poteva sentirci. Così come ha fatto lei anche quel signore tornerà, si lascerà tentare, entrerà, tornerà nuovamente e dimenticherà qualcos'altro. Questo è un trabocchetto che dura da un'infinità di giorni, di mesi, di anni. Crollerà questo palazzo ma la scala resterà, per sempre.". "Provi a raggiungere la cima: passeranno anni, decenni senza che lei riesca mai a raggiungere la fine. Dovrà desistere, così come abbiamo desistito tutti. Non c'è via di scampo.". Max alzò le spalle, come se questo strano signore fosse completamente pazzo e quindi tutto ciò che gli aveva detto non avesse alcuna importanza. Alzò una mano, come per salutarlo e fece un passo per scendere dalla scala, per superare gli ultimi gradini che lo separavano dal pianerottolo. D'un tratto gli parve di essere su di una scala mobile che si muovesse in senso contrario al suo e più cercava di scendere più risaliva. Poi la scala si fermò bruscamente e Max cadde in avanti. Dall'alto della scala, dai piani più alti, risuonò una risata fragorosa. Pareva che migliaia di persone stessero prendendosi gioco di lui. Alzò lo sguardo indispettito verso la sommità della scala e vide che, effettivamente, centinaia, forse migliaia di persone, stavano ridendo di lui. Cercò di individuare l'anziano signore che aveva parlato poco prima con lui e lo riconobbe, tra le centinaia di volti che incrociavano il suo sguardo, unico tra tutti che non ridesse. Anzi, una lacrima gli solcava il viso. "Non mi guardi così," - disse l'anziano signore - "non sono migliore degli altri. Sono solo l'ultimo arrivato, anzi il penultimo ormai, ed è per questo che provo pena per lei: ci sono appena passato anch'io. "Ma stiamo scherzando?" - Max respirava a fatica e le gambe gli tremavano. "Purtroppo no." - rispose il vecchio sospirando. Qualche secondo dopo risuonò un grido, agghiacciante, proveniente dalla sommità della scala. Alzarono tutti la testa per cercare di vedere poi, a più riprese, scoppiarono a ridere, una risata fragorosa che riempì l'aria facendo quasi mancare il respiro. "Cos'è successo?" - chiese Max. "Uno dei piani alti ha ceduto.". "Cosa vuol dire?" "Si è gettato verso il basso." - rispose il vecchio chiudendo gli occhi e aprendo le braccia come per imitare il volo di un aeroplano. "E' morto?" - Max guardò il vecchio che aveva ancora gli occhi chiusi. "Morto?" - il vecchio lo guardò lasciando trasparire nello sguardo un'immensa pietà. Quella domanda risuonò per la scala e tutti risero nuovamente gridando in coro: "Morto! Morto!". "Qui non si può morire" - disse un ragazzo qualche gradino più in alto. "Non è permesso." - disse un altro. "E quello che si è buttato?" - Max cominciava a credere di essere impazzito. "Ricomincia dal basso, senza luce, come noi." - disse l'anziano signore - "Ad ogni nuovo arrivato la scala permette di salire in altezza. Dopo qualche tempo si raggiunge la luce e lì è un po' meglio.". "Meglio?" - Max si sedette sconsolato sul gradino. "Sì, meglio," - rispose il vecchio - "nel senso che la luce fa cambiare il modo di vedere le cose.". "Per poi crollare e tentare di uccidersi, pur sapendo che è impossibile?". "Sì, credo di sì.". "Io sarei l'ultimo arrivato, vero?" - Max si alzò di scatto. "Certo." - rispose il vecchio. "E se io mi gettassi verso il basso?". "Non saprei, credo che dovrebbe arretrare anche lei, ma non è possibile visto che lei è l'ultimo.". "Mi è venuta un'idea, mi ascolti..." - Max cominciò a sussurrare all'orecchio del vecchio - "Io mi butto verso il basso. Essendo l'ultimo potrei anche uscire di qui. Se non mi dovesse più vedere si getti anche lei e lo dica a quello prima di lei e così via. Ce la faremo tutti, vedrà.". "Non ne sarei così sicuro." - rispose il vecchio alzando le spalle. "Proviamo, cosa ci costa?". Detto ciò Max si volse e si gettò verso il basso. L'impatto fu violento e appena toccò il suolo sentì un forte dolore alla testa. Era buio, completamente buio. "Mio dio non ha funzionato. Sono caduto nel buio totale, devo avvisare gli altri. Fermatevi, non fatelo, non buttatevi." - urlava come un ossesso. FINE |